Onorevoli Colleghi! - L'articolo 49 della Costituzione attribuisce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente in partiti, al fine di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Fino ad oggi, il richiamato «metodo democratico» è sempre stato interpretato come un limite all'azione dei partiti nei confronti di altri soggetti, piuttosto che come un obbligo di assumere una struttura democratica anche al loro interno, come tutela per i cittadini stessi.
      Per questo motivo, la loro disciplina interna è sempre stata demandata a norme di carattere privatistico, mentre la vincolatività dell'articolo 49 della Costituzione si è esplicata rispetto al loro comportamento verso l'esterno, traducendosi nell'obbligo di rispettare e tutelare il pluralismo politico presente nel Paese nella competizione con le altre forze politiche.
      Nonostante la concezione privatististica dei partiti politici dominante, essi sono andati ricoprendo un ruolo pubblico sempre più rilevante, incidendo in maniera molto marcata, com'è d'altronde naturale, sulle dinamiche della forma di governo. In altre parole, istituzioni private - quindi autodisciplinate - hanno influenzato in maniera sempre più netta e pervasiva la forma e la sostanza delle decisioni pubbliche assunte nel nostro Paese.

 

Pag. 2


      Il loro peso nel sistema istituzionale complessivo e nel funzionamento degli organi è stato tra l'altro riconosciuto, a partire dagli anni settanta, da un sistema di finanziamento pubblico, introdotto sulla scia dell'apparato concettuale appena ricordato, e cioè a prescindere da quella predisposizione di vincoli sulla loro struttura democratica interna e sulla trasparenza dei processi decisionali che ne avrebbero reso coerente e legittima la ragion d'essere.
      Negli anni successivi, il dibattito pubblico si è concentrato in maniera sempre più insistente sulla necessità di trovare forme e modi per rivitalizzare i canali di partecipazione dell'elettorato, gravemente indeboliti dalla crisi dei tradizionali soggetti politici verificatasi a partire dai primi anni novanta, sino a giungere ad oggi, quando il mancato riassetto istituzionale unito alla ancora incompiuta fase di ricomposizione del sistema partitico rendono ancor più evidente il bisogno di riavvicinare eletti ed elettori, tramite il potenziamento di quel ruolo di filtro che i partiti politici fisiologicamente svolgono in tutte le grandi democrazie.
      Si ritiene quindi che i tempi siano maturi per una disciplina pubblicistica sui partiti politici, soprattutto per quanto riguarda le «funzioni aventi rilevanza costituzionale» (Corte costituzionale, ordinanza n. 79 del 2006) che essi svolgono, la più importante delle quali risiede nel mettere direttamente in collegamento gli elettori con coloro che aspirano a divenire i loro rappresentanti: la selezione delle candidature alle elezioni politiche.
      Si considera infatti necessario garantire una maggiore democraticità dei processi di selezione della classe politica, tramite un più ampio coinvolgimento degli iscritti e degli elettori. Non pare invece opportuno vincolare in maniera troppo forte i partiti per quanto riguarda la struttura che intendono adottare al loro interno: fatti salvi alcuni imprescindibili capisaldi posti a tutela della democraticità dei procedimenti decisionali, è necessario lasciare a ciascuna forza politica dei margini di manovra, piuttosto che imporre un modello di statuto standard che risulterebbe rigido e per ciò stesso incapace di adattarsi alle peculiarità di ciascuna di esse.
      La presente proposta di legge contiene quindi una disciplina legislativa sui partiti politici che si muove prevalentemente lungo tre linee di intervento: a) fissare una serie di regole di base per quanto riguarda la struttura interna, lasciando allo stesso tempo ampia libertà di scelta nell'introduzione delle varianti le più adeguate alle caratteristiche delle singole forze politiche; b) inserire una disciplina più democratica per quanto riguarda le funzioni di rilevanza costituzionale da esse ricoperte, con particolare riferimento alla selezione dei candidati alle elezioni; c) vincolare il finanziamento pubblico al rispetto dei requisiti di legge, premiando i comportamenti virtuosi e aprendo la strada ad una riforma coerente ed organica del sistema.
      Il capo I della proposta di legge fissa quindi dei requisiti minimi che gli statuti di tutti i partiti devono rispettare, con particolare riferimento alle procedure stabilite per l'iscrizione e l'eventuale espulsione, alla tutela delle minoranze, ai rapporti con le articolazioni territoriali e al rispetto del principio delle pari opportunità fra iscritte e iscritti. Al fine di garantire una maggiore trasparenza delle regole stabilite da ciascuna forza politica, è previsto che lo statuto debba essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (articolo 1, comma 2), come requisito pregiudiziale per l'accesso a tutte le forme di finanziamento pubblico (articolo 1, comma 3).
      Il capo II dell'articolato interviene invece in maniera diretta sul ruolo più marcatamente pubblico svolto dai partiti e dalle eventuali coalizioni, e cioè direttamente sulle modalità di selezione delle candidature. Lo strumento individuato come preferenziale è l'istituto delle elezioni primarie, sia per la selezione delle cariche monocratiche (nel caso della legge elettorale attuale, ad esempio, per il capo della coalizione), sia per la composizione delle liste.
      Le primarie negli ultimi anni si sono notevolmente diffuse sia in Europa (Francia, Spagna, Regno Unito, Finlandia,
 

Pag. 3

Bulgaria), sia in Italia, a vari livelli (nazionale, regionale, locale). Questa crescente diffusione dimostra l'efficacia dello strumento sia per quanto riguarda la sua intrinseca capacità di mobilitazione dell'elettorato - come ha dimostrato in maniera netta l'inattesa partecipazione alla «Primaria 2005» per la selezione del leader dell'Unione - sia per ciò che concerne la capacità selettiva dello strumento stesso (si veda ad esempio l'esperienza delle primarie per il candidato alla presidenza della regione Puglia).
      Ciò nonostante, finora le primarie sono state disciplinate direttamente dagli stessi soggetti che ne hanno fatto uso - con la sola eccezione costituita dalla legge della regione Toscana n. 70 del 2004 - per cui sono costantemente sottoposte al rischio che quegli stessi soggetti che le indicono lo facciano in maniera discontinua e solo ad hoc - solamente, cioè, quando è necessario ricomporre fratture interne, non come strumento democratico tramite il quale coinvolgere costantemente iscritti ed elettori - o che gli esiti che si vengono a determinare siano costantemente oggetto di critiche vertenti sul fatto che il soggetto che ha il potere di fissare le regole, quello di controllarne il rispetto e che deve sottoporvisi è sempre lo stesso, a discapito della credibilità dei procedimenti.
      Poiché si considerano le elezioni primarie come il metodo più adatto per coinvolgere la società civile nella selezione delle candidature, costituendo un momento di scelta reale e per ciò stesso un forte incentivo alla partecipazione dell'elettorato, pare quindi necessaria una disciplina di tipo pubblicistico, al fine di porre dei criteri minimi al rispetto dei quali tutti i soggetti politici siano vincolati.
      Il caso della legge toscana non dovrebbe quindi rimanere isolato, poiché anche a livello nazionale si avverte la necessità di regole certe che garantiscano credibilità al processo e agli esiti. Peraltro si tratta di una naturale evoluzione che si è riscontrata in molti di quei Paesi dove l'impiego delle primarie è divenuto costante nel tempo - particolarmente nel continente americano - e ha quindi portato alla fisiologica introduzione di regole uniformi e di un quadro normativo stabile.
      Pare quindi opportuno introdurre anche una disciplina nazionale, che detti le linee generali, lasciando alle singole forze politiche la possibilità di scegliere le varianti che più ritiene coerenti con la loro vocazione.
      Secondo quanto previsto dalla presente proposta di legge (capo II), alle primarie partecipano di diritto tutti gli iscritti al partito (cosiddette «primarie chiuse»), ma ciascuna forza politica può decidere di allargare la base elettorale anche ai non iscritti (cosiddette «primarie aperte»), con possibilità di introdurre anche modalità intermedie, previa presentazione di un apposito regolamento (articolo 5, comma 5).
      Sul rispetto del regolamento vigila un apposito comitato dei garanti, al quale vengono inoltre attribuiti compiti di controllo e verifica sulla validità delle elezioni primarie, sia con riferimento ai profili procedurali che al rispetto dei requisiti fissati per legge (articolo 9).
      Per quanto riguarda l'elettorato passivo (articolo 8), possono candidarsi tutti gli iscritti e anche coloro che ne facciano richiesta, a condizione di non essere membri di altri partiti.
      È previsto inoltre l'obbligo per ciascun partito di presentare un regolamento di autodisciplina della campagna elettorale (articolo 6, comma 6), che garantisca le pari opportunità fra i candidati che si presentano alle primarie, sia tramite la fissazione di tetti di spesa non penalizzanti per i candidati più deboli, sia attraverso forme trasparenti di rendicontazione delle spese, sia con riferimento alla rimozione degli ostacoli che impediscono l'uguaglianza sostanziale fra i sessi.
      In via generale, se i partiti fanno ricorso alle primarie, è prevista l'obbligatorietà degli esiti, con un'unica deroga volta a garantire l'equilibrio di genere in presenza di quote (articolo 8, comma 6). Qualora i partiti non intendano impiegarle, è previsto l'obbligo di scegliere forme alternative di consultazione degli iscritti e delle iscritte, prevedendo comunque
 

Pag. 4

una quota minima di soggetti da coinvolgere. La soglia è pari ad almeno l'1 per cento dei voti validi ottenuti dalla stessa forza politica nell'elezione precedente per lo stesso livello di Governo, oppure ad almeno lo 0,1 per cento dei voti validi espressi complessivamente nella consultazione, se il partito non ha mai preso parte ad elezioni per il rinnovo dello stesso organo (articolo 5, comma 2).
      Se lo statuto non contempla alcuna forma democratica di coinvolgimento di iscritti ed elettori, la sanzione corrisponde alla mancata erogazione delle varie forme di rimborso o finanziamento (articolo 5, comma 3).
      Il capo III della proposta di legge disciplina infine il regime di finanziamento dei partiti, prevedendo che i soggetti politici che non rispettino i requisiti previsti dal presente progetto di legge siano esclusi dal finanziamento pubblico (articolo 11, comma 1).
      Poiché l'istituto delle elezioni primarie è considerato il metodo preferenziale, il più virtuoso al fine di coinvolgere gli iscritti e i cittadini nella selezione delle candidature, è previsto che i partiti che lo impiegano abbiano diritto ad una maggiorazione del 10 per cento dei rimborsi attribuiti ai sensi dell'articolo 9 della legge 3 giugno 1999, n. 157 (articolo 11, comma 2), stabilendo al contempo un vincolo all'utilizzo di almeno il 10 per cento dei rimborsi per iniziative volte a favorire la partecipazione attiva delle donne (articolo 11, comma 3).
      Rispetto alle ulteriori disposizioni relative al finanziamento pubblico dei partiti, pare tuttavia opportuno sottolineare, in via preliminare, come l'attuale sistema sia caratterizzato da una evidente patologia di fondo - per certi versi una vera e propria ipocrisia - poiché i rimborsi elettorali costituiscono di fatto un finanziamento vero e proprio, dal momento che l'abrogazione a seguito del referendum del 1993 dei finanziamenti pubblici ha reso difficilmente praticabile la strada della riforma del sistema.
      I finanziamenti pubblici diretti sono quindi stati sostituiti dai rimborsi elettorali che, proprio in ragione del fatto che non si tratta di finanziamenti in senso stretto, sono sottoposti ad un regime giuridico diverso, il quale rende difficoltosa una razionalizzazione organica e coerente.
      In vista di una auspicabile riforma complessiva del sistema di finanziamento pubblico ai partiti, che miri al perseguimento di una maggiore trasparenza dei canali di finanziamento pubblici e privati, che separi i rimborsi elettorali dai finanziamenti diretti, che sia volta alla riduzione degli incentivi alla frammentazione attualmente presenti - si pensi alla soglia dell'1 per cento prevista dall'attuale disciplina per il rinnovo della Camera dei deputati -, che contempli anche la presenza di mirati interventi pubblici per favorire lo sviluppo politico-culturale del Paese, la presente proposta di legge introduce alcune innovazioni significative che si muovono sulla stessa linea.
      La prima riprende un meccanismo contenuto nel progetto di legge presentato al Senato a prima firma della senatrice Carloni (atto Senato n. 550), reintroducendo la possibilità conferita ai singoli contribuenti di devolvere ai partiti il 4 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (articolo 12).
      A differenza tuttavia del richiamato disegno di legge, nel presente progetto la contribuzione volontaria diviene un mezzo di finanziamento parzialmente sostitutivo - quindi non un finanziamento aggiuntivo - dei rimborsi elettorali che comunque spetterebbero ai partiti ai sensi della normativa vigente: da questi ultimi viene infatti sottratta una quota pari alla somma degli importi versati dai singoli contribuenti (articolo 12, comma 4).
      La seconda risiede invece nella possibilità attribuita a tutti i partiti che abbiano ottenuto una rappresentanza parlamentare di istituire delle fondazioni ad essi collegate (articolo 13), al fine di potenziare quelle attività di ricerca, formazione, comunicazione culturale e politica, necessarie al fine di riaprire i canali di dialogo tra le istituzioni politiche e i cittadini.
      Si tratta di un modello sperimentato positivamente in altri sistemi istituzionali
 

Pag. 5

democratici, dove i partiti politici, e segnatamente quelli più grandi, hanno assunto agli occhi dell'opinione pubblica lo status di istituzioni stabili e legittimate, che presiedono alla selezione della rappresentanza politica, al governo delle politiche pubbliche, alla partecipazione politica, all'iniziativa politico-culturale per l'elaborazione dei programmi e delle politiche specifiche. Valga per tutti l'esempio della Germania, dove le fondazioni sono un perno dell'attività dei partiti politici e contribuiscono a formare un'offerta politica molto strutturata, che si poggia su una solida e pervasiva normazione dell'attività dei partiti politici e delle loro rappresentanze nelle assemblee elettive.
      Le fondazioni sono costituite con atto pubblico, possono sostenere l'azione dei partiti solamente tramite la prestazione di beni e servizi, e sono sottoposte ad un controllo da parte della presidenza della Camera dei deputati, vertente sul rispetto dei bilanci e delle disposizioni contenute nella presente proposta di legge e nei rispettivi statuti.
      È inoltre posto l'accento sulla necessità di assicurare trasparenza ai finanziamenti dei soggetti privati alle fondazioni stesse (articolo 13, comma 7, lettera b), prevedendo l'obbligo in capo all'erogante di esprimere, in una apposita dichiarazione indirizzata al Presidente della Camera dei deputati, la manifesta volontà di finanziamento ed il nome della fondazione beneficiaria destinataria dello stesso.
      Si sottolinea infine - in via incidentale, ma ritenendo che tali considerazioni siano fondamentali affinché la presente proposta di legge possa esplicare appieno le sue potenzialità - che una disciplina sulla democraticità interna dei partiti costituisce solo un tassello, anche se fondamentale, di un complesso più ampio di riforme che è necessario portare avanti con l'obiettivo principe di ridurre la frammentazione politica che affligge ormai in maniera cronica le nostre assemblee rappresentative, rendendo i procedimenti decisionali sempre più farraginosi e inefficienti.
      È infatti necessario non solo che i partiti siano democratici al loro interno, non solo che coinvolgano i loro iscritti e - se lo ritengono opportuno - il loro elettorato di riferimento nella scelta dei loro candidati, ma anche che il loro numero sia inferiore e che il loro peso nelle istituzioni sia commisurato alla loro effettiva forza nel Paese. Concorrere con «metodo democratico» alla determinazione della politica del Paese è possibile solo se i partiti sono pochi, se sono democratici al loro interno e se il raccordo con i loro elettori e iscritti è vitale.
      Quando i partiti sono troppi, quando in mano a partiti minuscoli ci sono poteri di veto anziché di proposta, la democraticità del sistema nel suo complesso si affievolisce in maniera sensibile, poiché il principio di maggioranza rischia di essere sostituito dai diktat di ciascuna minoranza.
 

Pag. 6